Secondo Pitagora di Samo, (ca. 560-470 a.C.), al contrario dei filosofi presocratici della scuola ionica, l’elemento base dell’universo non era il fuoco, l’acqua o l’aria, ma era qualcosa di natura diversa, non materiale, e quindi non percepibile per mezzo dei sensi. La sostanza primordiale era il numero.
Pitagora e i suoi seguaci studiarono a fondo i fenomeni acustici e musicali, e mediante il monocordo misurarono i rapporti matematici che intercorrevano tra i suoni: a proporzioni semplici corrispondevano combinazioni di suoni gradite all’orecchio, mentre la sempre maggiore complessità conduceva al caos.
La perfezione dei rapporti della scala pitagorica era considerata la dimostrazione della perfezione divina e la guida sia della vita celeste che di quella umana. Tale scala è costruita ricavando l’ottava dividendo una corda secondo il rapporto di 1:2, e le altre sei note da una serie di intervalli di quinta ottenuti suddividendo la lunghezza della corda in tre parti uguali, secondo il rapporto 2:3.
Ma i calcoli pitagorici non prendevano le mosse dalla pratica musicale, sebbene partissero dalla constatazione della consonanza dell’intervallo di quinta naturale.
E basare su tale intervallo un intero sistema era il risultato di un pensiero astratto e ideologico. Se si prosegue nelle suddivisioni non si arriva, come succede con l’attuale circolo delle quinte del temperamento equabile, allo stesso suono di partenza (diverse ottave sopra), ma ad uno diverso, più alto di 23,5 centesimi di semitono. Questo perché le ottave sono basate su multipli di due mentre le quinte naturali su multipli di tre e ambedue sono numeri primi. E numeri primi diversi non possono mai avere un multiplo in comune.
Si narra che Pitagora, essendo consapevole dell’esistenza di limiti nella sua costruzione, proibì ai suoi discepoli di parlarne pubblicamente, pena la morte. Un esempio, che può aiutare a chiarire ulteriormente il concetto, è dato dalla relazione tra la diagonale e il lato di un quadrato. I teoremi di Pitagora possono essere usati per calcolare il valore di qualsiasi diagonale ma nel caso del quadrato, il risultato sarà sempre un numero irrazionale. Tale numero infatti va avanti all’infinito non avendo un limite definibile.
Va avanti all’infinito. Le implicazioni erano enormi perché, se esistevano numeri privi di un limite, voleva dire che le linee erano divisibili all’infinito.
E se le linee erano infinitamente divisibili, non potevano essere costituite dai punti discreti stabiliti da Pitagora. Per Pitagora il solo nominare l’esistenza di numeri irrazionali, e di conseguenza l’esistenza di un universo senza limiti (perché l’elemento che spiegava l’universo, per i pitagorici era il numero), era una colpa meritevole della condanna a morte. Non dimentichiamo che circa duemila anni più tardi, nel 1600, la Chiesa si trovò ancora in pieno accordo con il pensiero di Pitagora mandando al rogo Giordano Bruno che affermava che l’universo fosse infinito, disseminato di innumerevoli mondi.
Davanti al problema dei numeri irrazionali, Pitagora scelse di non occuparsene anche perché la musica del suo tempo non aveva armonie complicate o frasi articolate da rendere evidenti le imperfezioni.
Pitagora esortava a dimenticare i sogni, le immagini dell’inconscio.
“Raccomandava ai suoi seguaci di dimenticare al risveglio tutte le impressioni create dalle forme variabili, allo scopo di allontanarsi dalla propria mutevole natura umana per diventare sempre più simili a numeri trascendenti.”1 Le ricerche dei Pitagorici influenzarono tutte le successive attività speculative in campo musicale. In particolare, Damone e dopo di lui Platone e Aristotele, teorizzarono circa le influenze della musica sugli stati dell’animo umano.
I Greci antichi avevano una concezione della musica molto più ampia della nostra  perché il termine mousiké oltre ad indicare l’arte dei suoni, comprendeva anche la poesia e la danza. All’unione di parole, melodia e ritmo, che costituiva la mousiké, la cultura greca assegnava anche un significato profondo legato a concezioni religiose, etiche e filosofiche. Un potere, insomma, quello della musica non soltanto emotivo, ma addirittura di fascinazione delle facoltà volitive. L’idea dei Greci di epoca classica, che attraverso la musica si potessero abbattere i confini tra il mondo umano e divino, derivava da una concezione, comune ad altre culture primitive, secondo cui il suono costituiva l’espressione degli esseri soprannaturali.2 Svilupparono, inoltre, l’aspetto più caratteristico del loro pensiero musicale: osservarono l’effetto prodotto sull’animo umano dalle varie melodie attraverso la dottrina dell’êthos.
Questa dottrina teorizzata da Damone di Atene e conosciuta soprattutto per l’applicazione successiva ad opera di Platone e di Aristotele, sosteneva l’influsso della musica sul comportamento dell’uomo mediante il suo potenziale emozionale. L’intossicazione e la guarigione attraverso la musica erano ancora dei residui di primitivismo nella cultura greca. In linea con questa tradizione la musica aveva il potere di influenzare le qualità morali di un uomo, di creare il bene e il male, la pace e l’inquietudine.
Per Platone la pratica musicale era materia basilare dell’educazione. I ragazzi greci non avrebbero dovuto imparare a suonare tutta la musica, ma solo le melodie particolarmente atte a temprare il carattere, quelle cacofoniche si sarebbero dovute evitare. “La giusta misura sarà raggiunta se gli studenti di musica si accontenteranno delle capacità che sono sufficienti per poter sostenere le gare professionali e non cercheranno le fantastiche meraviglie di esecuzioni che sono adesso di moda in tali contese e che da queste sono passate negli studi”.3
È facile capire l’accanimento con cui Platone e i conservatori combattevano le innovazioni introdotte nella pratica musicale verso la fine del V secolo a.C. Le maggiori critiche erano rivolte all’aggiunta di nuove corde sulla lira e ulteriori fori sull’aulos, che davano modo al compositore e all’esecutore di creare ed eseguire brani più complessi e artisticamente più apprezzabili, ma in contrasto con la dottrina dell’êthos. Raffaella Ballerio nella sua introduzione a “La Musica” di Plutarco scrive: “Il virtuosismo artistico finì col prevalere sul fine etico-psicologico e gli assertori della musica tradizionale interpretarono questa evoluzione come decadenza dell’arte musicale. Il richiamo al carattere della musica antica per contrastare la «degenerazione» dell’arte musicale «nuova» costituisce il motivo conduttore del nostro opuscolo, il cui autore, riprendendo dopo alcuni secoli le polemiche del tempo di Platone, riproponeva la funzione etico-educativa della musica”.4
Emozioni e turbamenti erano da bandire. ”Quando il drammaturgo Frinico mise in scena ad Atene La presa di Mileto muovendo il pubblico alle lacrime, gli fu comminata una multa di mille dracme per aver suscitato tanta infelicità.
In un mondo votato alla ragione, perderla – a meno che non avvenisse durante l’estasi purificatrice di certi riti mistici – era considerato un passo sicuro verso la rovina.”5
I Greci stabilirono che l’azione della musica era di tre specie fondamentali, a seconda che producesse un atto della volontà (energico), che paralizzasse la volontà (snervante), oppure che provocasse uno stato di ebbrezza (estasiante).
Ma l’applicazione di questa classificazione non fu mai molto chiara. I grammatici alessandrini adottarono i tre generi, diatonico, cromatico ed enarmonico.
Il genere diatonico comprendeva due soli semitoni e veniva reputato energico e maschio perché con poche possibilità di sfumature. Il cromatico e l’enarmonico venivano usati per produrre stati d’animo più complessi come il dolore e l’amore. “E Platone, appunto, nella sua Repubblica bandiva l’uso della snervante e sensuale armonia lidia6 (…) Aristotele fa un’applicazione pratica così minuta e pedante, da ridurre la musica a una specie di medicina omeopatica…”.7
L’uso del termine diatonico da parte dei Greci è lo stesso utilizzato ai giorni nostri. Si riferisce ad una scala composta da due tetracordi, ciascuno dei quali formato da due toni e un semitono; il genere cromatico era il migliore per esprimere la tristezza poiché aveva una terza minore e due semitoni in ciascun tetracordo. Il tetracordo enarmonico era dato da una terza maggiore e due microtoni approssimativamente di un quarto di tono ciascuno.
A proposito del rapporto tra la testualità ed il suono, Platone, sia nel Simposio che nella Repubblica, riporta il mito di Marsia, il sileno convinto che il suo strumento a fiato, l’aulos,8 producesse una melodia superiore a quella della cetra, strumento a corde. Marsia sfida il citaredo Apollo ma perde e viene scorticato vivo. Privato della pelle, simbolo della sensibilità umana, imparerà a sue spese che lo strumento a fiato impedisce a chi lo suona di usare il linguaggio parlato e che, quindi, ha un potere negante nei confronti della parola. E, come si sa, la musica secondo i Greci deve essere sottomessa alle esigenze del testo. Il potere estatico dell’aulos, considerato contrario alle leggi della polis, è sostenuto sia da Platone che da Aristotele. Non a caso, l’istruzione scolastica prevedeva lo studio della cetra e non dell’aulos.
“A differenza della lira, all’aulos appartiene la possibilità di glissare, di congiungere i punti dello spazio musicale in un’unica curva sonora, prestandosi pericolosamente a rappresentare la pura phoné, evocando cioè un mondo in cui il fonico trionfa sul semantico; in cui predominano la sfera acustica e l’espressione della corporeità, ossia ritmo e respiro. Un suono-flusso, i cui confini sono sfumati, che si differenzia dal suono nettamente articolabile – dunque ripetibile – della parola (o della nota). Di qui, come vedremo, l’esigenza di disciplinare la continuità rendendola discreta, una strategia di restrizione preventiva – un filtro – che permette di imbrigliare il carattere glissante del suono nell’architettura di una struttura intervallare.”9
Sia Platone che Aristotele si opponevano all’uso degli intervalli enarmonici, all’uso di certi ritmi che sarebbero stati connessi a riti orgiastici, all’indipendenza della musica strumentale e soprattutto alla diffusione dei virtuosi di professione.10
Il perfetto cittadino della polis non poteva abbandonarsi alle passioni, la ragione riesce a comprendere soltanto la soddisfazione dei bisogni e la sopravvivenza degli uomini. Realizzazioni umane, creatività, arte, sessualità richiedono, invece, il rapporto con il pensiero irrazionale.
Ma la concezione di tale pensiero è tutta da rivedere.
“La mentalità diffusa è ancora quella della Bibbia e del peccato originale.
Quel vecchissimo discorso sull’uomo che tende continuamente a negare la nascita facendo della fantasia di sparizione del neonato e della sua impotenza, una colpa originaria che si costituirebbe come destino umano. Dall’antico Schopenhauer al moderno Lacan il discorso non è cambiato in niente. La carne, gli affetti, la sessualità umana sarebbero il male per questa prima e insuperabile colpa originaria della nascita. Dio annulla completamente la nascita e la materia. Il diavolo suggerisce alla donna la conoscenza come appropriazione e introiezione. Poi la donna porta la corruzione all’uomo narcisista, intelligente e forte. La vitalità? La nascita? La carica sessuale originaria? La trasformazione della nascita? La fantasia? Il desiderio? Mai esistiti nella mente scientifica dell’uomo. (…) la scienza, la cultura, non sopportano neppure la vitalità umana, la materialità umana che è vitale e sessuale. Non sopportano la base, il fondamento della realtà psichica che è appunto l’origine materiale dell’essere umano con la sua carica libidica intrauterina.”11
A partire dalla cultura greca prese piede una scissione tra le esigenze teoriche e la vita pratica degli uomini. Questo diventò più chiaro con Platone che fondò la sua dottrina sull’antitesi mistica di corpo e anima. Allora venne professato il distacco, la fuga dalla vita terrena e da tutto ciò che fosse corporeità per tendere verso un ideale di saggezza, di purezza e di santità.
“Aristotele tentò di chiarire razionalmente quel misterioso legame fra genio e pazzia espresso da Platone: la conclusione fu che la differenza fra le due condizioni non è qualitativa ma puramente quantitativa. Ancor oggi (…) non esisterebbero persone sane ma solo persone meno malate di altre. (…) La concezione platonica ed aristotelica dell’arte fu accettata quasi senza modifiche dalla prima filosofia cristiana. Il bello veniva concepito come il simbolo di una realtà superiore…”12

1   Stuart Isacoff, Temperamento Storia di un enigma musicale , EDT, Torino 2005, pag. 30.

2  La condizione mortale era una conseguenza diretta della materializzazione dei corpi sonori e luminosi dei primi uomini. Se gli dèi  fuggirono a quella degradazione delle immagini acustiche, è “perché ebbero paura e si rifugiarono in tempo nel sacrificio sonoro”. Essi divennero così dei puri canti e “videro con i propri occhi gli inni nei quali si imbarcarono”. Marius Schneider, La Musica Primitiva , Adelphi, Milano 2004, pag.49.

3   Aristotele, Politica (8:6),  riportato in Curt Sachs, LA MUSICA NEL MONDO ANTICO – ORIENTE E OCCIDENTE, Sansoni Editore, Firenze 1981, pag.261.

4   Raffaella Ballerio, Introduzione a Plutarco, LA MUSICA , RCS Libri, Milano 2000, pag. 7.

5   Stuart Isacoff, cit., pagg. 26-27.

6   La parola greca harmonia, a differenza dell’accezione moderna del termine, indicava l’insieme dei suoni utilizzati per costruire una melodia.

7   Massimo Mila, Breve storia della musica , Enaudi Editore, Torino 1993, pag.18.

8   Strumento a fiato ad ancia doppia suonato probabilmente con la respirazione circolare; poteva essere semplice o doppio.

9   Davide Sparti, Il corpo sonoro. Oralità e scrittura nel jazz , il Mulino, Bologna 2007, pagg. 78-79.

10 «L’accumulo eccessivo dei suoni, le scale complesse, il mescolarsi di ritmi e forme incongrue, l’unione di strumenti eterogenei, “strumenti a molte corde stranamente accordati” devono essere esclusi dallo Stato, come pure i costruttori e i suonatori di aulos. Inoltre le regole fondamentali della musica, una volta stabilite, non vanno cambiate, poiché una carenza normativa nel campo delle arti e dell’educazione conduce inevitabilmente al lassismo nei costumi e all’anarchia nella società.» Platone, Repubblica, III-IV; Leggi, III-VII ; da Donald Jay Grout, Storia della musica in Occidente, Feltrinelli, Milano 2002, pagg. 18-19.

11  Massimo Fagioli, Bambino donna e trasformazione dell’uomo , Nuove Edizioni Romane, Roma 2007, pagg. 274-275, 320.

12  Domenico Fargnoli, GLI ANGELI RIBELLI Forme e contenuti del pensiero geniale , Wichting Editore, Milano 1995, pagg. 92-93.