FESTA DELL’UNITA’ DI ROMA 2011

 Incontro con l’Associazione Ipazia Immaginepensiero

RAPPORTO TRA ARTE CULTURA POLITICA
RENDERE VISIBILE L’INVISIBILE

Spazio Donne del PD – Area Cultura
giovedì 21 luglio

Antonio Di Micco:
Ci siamo chiesti: ma cosa ci fa uno stand di una Associazione di artisti nella festa di un partito di sinistra? E che cosa vuol dire al grande pubblico uno stand del genere?
In questi due anni di permanenza all’interno della Festa Democratica abbiamo constatato che il nostro è l’unico spazio che propone l’arte come libera manifestazione del proprio sentire e come attività volta a comunicare, a trasmettere all’altro un proprio pensiero.
Vogliamo dire, come se fossimo uno (pur rappresentando pittura, scultura, fotografia, poesia, letteratura… ), che l’essere umano non è fatto solo di bisogni materiali legati al corpo, all’utile e al vivere quotidiano (e questo dei bisogni è stato ovviamente il tema centrale della Festa, soprattutto in questo momento, dopo l’esito delle amministrative e dei referendum, e al varo di una finanziaria pesante e iniqua con cui si tenta di restare tra i paesi significativi dello scacchiere europeo), vogliamo dire, con la nostra strana presenza qui, che l’uomo oltre ai bisogni ha anche le “esigenze”, ha la voglia di esprimere la propria libertà, di mettere fuori di sé affetti, aspirazioni, passioni.
Parliamo dell’importanza di dare formazione ai giovani e di fare la propria, di costruire una cultura che poggi su idee nuove, vere, forti con al centro lo stare assieme per creare rapporti positivi, per fare ricerca.
Tutte cose che sono state dette benissimo nella recente serata di presentazione del libro di Massimo Fagioli “La marionetta e il burattino”, dove si è parlato, tra l’altro, proprio dell’urgenza di legare ad un pensiero nuovo sulla realtà umana, una nuova prassi.
E noi superbamente diciamo che l’arte è una prassi speciale. Come dice il titolo dell’incontro: dobbiamo, vogliamo rendere visibile, cioè materiale e percepibile, l’invisibile.
Cosa è questo invisibile… ce lo diranno gli artisti.
Io intanto voglio sottolineare la nostra sfida a questo grande partito e alla cultura: e se mettessimo insieme le varie realtà espressive umane e le facessimo interagire tra loro per dare più forza emozionale? E ancora di più: se la politica e la sinistra, proprio in questo momento in cui sono alla ricerca di un pensiero nuovo con cui superare la teoria marxista dei bisogni, ascoltassero l’espressione delle esigenze universali che le arti nel loro complesso offrono?
Allora il nostro stand ha una funzione di stimolo e di proposta importante.

Le fotografie di Chiara Benucci, di Gabriella Raffaelli e di Roberto Camiz ci parlano in modo emotivo di un “diverso da noi” che è uguale: donne, uomini e bambini di pelle nera, gli spazi in cui vivono… immagini poetiche che indirettamente alludono alla attuale rivoluzione di primavera del mondo arabo e mussulmano.
La scultura di Paolo Camiz fa appello al coraggio a non avere timore del nuovo, che è fatto di cose semplici, arnesi e oggetti del nostro vivere quotidiano, piegati, assemblati,  fusi per creare forme, maschere, personaggi impossibili…
La pittura di Roberta Pugno con al centro la sua potente tela “Realtà originaria”… Roberta che, partendo dalla materia, ci parla di una origine umana, di una fonte, di una nascita in cui gli uomini sono uguali, soli nella solitudine dell’inizio ma pronti al rapporto con gli altri.
Lascio ora la parola a Paolo Camiz.
In omaggio al nome Ipazia Immaginepensiero dell’Associazione ci vuoi raccontare quale pensiero, quale tensione emotiva sta dietro al tuo fare arte, a questo tuo dar vita sia a momenti della storia umana in generale sia a dimensioni individuali?

Paolo Camiz:
Quale pensiero sta dietro alla mia opera? E’ una domanda difficile… provo a rispondere.
Forse occorre fare subito una distinzione tra l’attività del pittore che ha davanti un supporto già dato, una tela, sempre la stessa a parte le misure, e quella dello scultore, che deve fare i conti con una materia ogni volta diversa.
Materia che può opporre resistenze inaspettate e condizionare molto, in corso d’opera, il lavoro dell’artista.
Spesso infatti quando mi accingo ad intervenire con una idea mi scontro con le caratteristiche proprie della materia e mi vedo costretto (ma la cosa non mi dispiace) a cambiare il percorso ideativo.
Il mio poi è un caso particolare, visto che non modello né scolpisco, ma assemblo (fondo, incollo, inchiodo…) pezzi di ferro vecchio, i quali hanno già una loro forma e un livello di corrosione superficiale che limitano le possibilità di saldatura, ma nello stesso tempo suggeriscono altri legami necessari, in un modo non lontano da quello utilizzato dagli atomi per formare le strutture cristalline.
E’ probabile, anzi è certo, che in questo modo di vedere le connessioni tra i vari pezzi emerga la mia formazione scientifica… Vorrei infatti ricordare che per quarant’anni ho insegnato meccanica quantistica e fisica nucleare all’Università di Roma “La Sapienza”.
Quindi il vissuto che sta dentro ad ogni mio lavoro è in parte artistico e in parte scientifico.
Quello che posso dire forse è che il pensiero non si colloca tanto dietro la singola opera quanto piuttosto, più in generale, dietro la scelta ecologica di fondo che mi spinge a creare nuove forme.
E’ un pensiero culturale e ovviamente politico preciso sull’essere umano e sulla società per cui mi piace utilizzare, anzi riutilizzare materiale di riciclo (il ferro prevalentemente, ma anche il legno, la lamiera, il rame…) per farne presenze completamente diverse.
Il pensiero dei miei lavori, magari, lo si può anche ricavare dai titoli. Ci sono i personaggi: Il guardiano dei cieli, Giano quadrifronte, Dioscuri, Gatto lunatico, Saltimbanco, Figura rampante. Metalmeccanico in marcia… Ci sono situazioni umane: Fertilità, Meglio non toccare, Groviglio di idee, Uno sguardo sul mondo… e situazioni della realtà fisica: Avvitamento, Orbitali policentrici, Triangolazioni…
Detto questo devo fare una distinzione tra le opere la cui ideazione è successiva alla scelta del materiale da utilizzare, in particolare le “Monomanie”, così chiamate perché realizzate saldando pezzi uguali o simili tra loro, e quelle invece scaturite da un tema che mi sono proposto o che mi è stato proposto.
Posso citare ad esempio il gruppo del “Don Chisciotte” e degli altri personaggi di Cervantes, o “Ground Zero”, ideato dopo l’11 settembre del 2001, o ancora “Libertà van cercando…”  eseguito in occasione del ventesimo anniversario della caduta del Muro di Berlino.

Se  dovessi riassumere in uno slogan i miei atteggiamenti nei confronti delle due tipologie descritte potrei dire per la prima: “Che cosa posso fare con questi pezzi di ferro?” e per la seconda: “Quali pezzi posso usare per realizzare questa idea?”.
Naturalmente ci sono anche situazioni intermedie, che però sono quasi impossibili da descrivere.

Antonio Di Micco:
Grazie Paolo… Da uno scultore-scienziato passiamo ad una pittrice-filosofa, Roberta Pugno.
Ci dici cos’è, secondo te, questo “’invisibile”? Cosa significa “rendere visibile l’invisibile”?

Roberta Pugno:
Riguardo al rapporto visibile-invisibile hai già fatto un nesso importante quando hai distinto i bisogni della realtà materiale dalle esigenze psichiche. “Rendere visibile l’invisibile” è una splendida formulazione con cui Paul Klee indica il compito dell’arte: cercare il significato più profondo della realtà e portarlo alla luce.
Ma cos’è questo profondo, che, nato nella indeterminatezza, dovrà apparire, dovrà essere trasmesso agli altri? Cos’è questo invisibile che diventerà forma di colore o di suono, opera d’arte che avrà forse la magia di dare durata infinita al tempo finito della nostra esistenza?
Nella psicoanalisi il “visibile” è la coscienza e l’“invisibile” è l’inconscio. Un inconscio inteso purtroppo come coacervo di impulsi ed emozioni bestiali che solo il Superio di ciascuno e una società autoritaria può controllare. In particolare Freud, come si sa, dice che si possono conoscere attraverso le libere associazioni solo le esperienze coscienti dimenticate.
Ne deriverebbe, poveri noi, che il passaggio dalla dimensione inconscia alla coscienza è praticamente impossibile e che l’arte è consolazione o puro esercizio estetico.
Lasciando volentieri Freud andiamo alla psichiatria, anzi, alle nuove forme di psichiatria.
Qui i sogni sono immagini incomprensibili ma che possono essere interpretate… Qui, con la “Teoria della nascita” di Massimo Fagioli, l’essere umano nasce con un inconscio sano e con infinite possibilità di fantasia. L’artista allora è colui che va a riprendersi la dimensione dell’origine e tenta di ricrearla con il massimo di libertà possibile.
Passando alla filosofia, e qui mi trovo più a mio agio, per la dialettica visibile-invisibile mi viene in mente Giordano Bruno che genialmente ha fatto della “presenza dei contrari” il fondamento del suo pensiero: “corporeo” e “incorporeo”, luce e ombra, “sensibile” e “intelleggibile”… Gli opposti ora convivono o coincidono non più come era avvenuto per secoli in virtù della fede e di dogmi incontestabili, ma perchè collocati all’interno di una concezione filosofica del mondo e dell’uomo che ha al suo centro il processo, infinito appunto, della conoscenza.
Allora l’inconoscibile può essere conosciuto, l’invisibile può essere visto: con Bruno l’uomo smette di credere e inizia a pensare.
E insieme a lui, che coraggiosamente indica nella immaginazione il ponte tra finito e infinito, ci chiediamo: possiamo chiamare il non-visibile, il non-corporeo, il non-cosciente con un termine di pienezza, un termine positivo… possiamo chiamarlo irrazionale?

E allora mi compare l’immagine del movimento delle donne, quello esploso nel febbraio di quest’anno, per il quale si è parlato proprio di “rendere visibile l’invisibile”.
Di far vedere a tutti… le donne, chi siamo, quante siamo… E noi donne, nate dalle antiche guaritrici e dalle “streghe”, si sa, abbiamo una forte componente irrazionale e inconscia.
Con uno slogan posso dire che, sì, siamo invisibili e irrazionali.
Tra le donne e gli artisti c’è sempre stato un filo rosso, che non è solo “fare bambini” da una parte e “fare arte” dall’altra. E’ qualcosa di più profondo che parla di un legame tra immagini e identità femminile.
Semplificando voglio ricordare che nello stand della Associazione, qui alla Festa, campeggia tra le altre, la scritta che dice: “E’ stata una donna a fare i primi graffiti rupestri”.
Vogliamo ipotizzare che la donna, per motivi complessi che magari affrontiamo un’altra volta, fu la prima artista.
E di provocazione in provocazione, torniamo a studiare come avviene questo passaggio da una dimensione interna (l’invisibile”) alla sua espressione materiale e concreta (il “visibile”).
Mi correggo, non è un passaggio, è una trasformazione.

E’ un movimento che rende inesistente ciò che esiste (far sparire) e che crea qualcosa che prima non c’era (creare appunto).
Prima del pensiero creativo dobbiamo infatti collocare un atto specifico della realtà umana, cioè a dire il rifiuto. Il NO è una reazione forte che dall’interno va all’esterno con cui si allontana il negativo, un NO che si lega simultaneamente alla certezza che esiste qualcosa di meglio, di più sano, di più bello.
Questa certezza irrazionale, forse, è la creatività.