Una delle tue ultime esposizioni è intitolata “Le immagini del rifiuto” ed è ispirata al pensiero e ai testi di Giordano Bruno. Quanto tempo ti è servito per meditare su questi testi e per far emergere le immagini che vediamo riprodotte nei tuoi quadri?

Il lavoro è stato lungo come origine, come pensiero, è invece stato veloce nella costruzione materiale. Tutto parte dall’idea che nell’umanità, nella storia dell’umanità c’è una dimensione che mi affascina ed è quella, difficile da dire, in cui chi ha di più, il filosofo, il medico… usa il suo pensiero per andare verso gli altri che possono quindi beneficiare di questa sapienza… parliamo di eroi, di sciamani, di ladri di fuoco e del grandissimo eroe che fu Giordano Bruno. Io avevo letto, studiato, discusso, interpellato anche Bruniani e poi è arrivata la produzione delle immagini… è stata una dopo l’altra, proprio solo il tempo materiale per costruirle. Quindi passavo da un libro ad un cerchio immenso, a segni ermetici, misteriosi o magici… E poi ho dipinto Giordano Bruno perché mi permetteva di coprirmi con il suo mantello per ribellarmi, e nel rifiuto, poter dire di no ad un discorso basato sull’inganno per sé e per gli altri. Il contenuto esiste e io ci metto a mio modo la vita. Altri l’hanno addirittura sacrificata. Quindi la mia è una sorta di pittura militante…

Per Giordano Bruno il senso della vista “è il più spirituale di tutti i sensi” tuttavia è difficile cogliere questo spirituale nella valanga di immagini fatue che ci investe ogni giorno: come selezioni le immagini che riservi alle tue opere e come si impongono su tutte le altre?

Giordano Bruno parlava di senso interno così come parlava di pensiero interno e di occhi interiori. Quindi ipotizzava che sotto gli strumenti percettivi umani c’erano dei recettori, invisibili, però esistenti… che è poi il discorso di Gödel, ossia il metodo deduttivo, dell’“indecidibile”: una cosa è vera finché non si dimostra il contrario e quindi l’invisibile non è che non c’è, è che non si vede e quindi devi dimostrare eventualmente che non esiste. Ecco in questo percorso di pensiero che corre lungo la storia si può dire che le immagini sono quelle che si vedono con gli occhi profondi e riguardano quindi il rapporto dell’interno di una persona con l’interno dell’altra persona e la fanno muovere in un certo modo cioè facendo nascere dalla persona stessa il movimento, mentre le cosiddette immagini fatue di cui parli… hanno questa caratteristica superegoica che costringono l’altra persona a muoversi, lasciamelo dire, per identificazione e non per identità… Nel pitturare c’è una spinta interna che trascina con sé pensieri, energie per cui… quello è un quadro! senza dubbio! Cioè non c’è selezione, è all’origine la selezione. Il livello della coscienza, dell’utile, del calcolo, indispensabile per la realtà materiale, qui non c’entra. La dimensione dell’immateriale invece ha la potenza della luce, la si sente subito e quando prorompe esce l’opera, per cui come dire… dal mio punto di vista non ho quadri sbagliati, ho quadri dolorosi, ma non sbagliati.

Se “l’immagine è ciò che non c’è”, l’arte è sicuramente il miglior luogo per la produzione di immagini. Tuttavia nei tuoi lavori convive anche un pensiero matematico e musicale. E’ possibile questa impressione?

E’ un bellissimo complimento… Il discorso di una matematica creativa che è filosofia… la musica addirittura! Se la pittura è anche musicale vuol dire che funziona. Veramente. L’idea è della possibilità della mancanza della scissione e quindi dell’idea della fusione. Io vado dal suono e poi scivolo dentro all’immagine visiva… oppure sono piccolissima però ho la sensazione dell’universo. Questa fusione mi dice che la realtà è la potenzialità che diventerà qualcosa… per esempio una immagine.

Sempre a proposito di immagini: quando, come artista, sei folgorata da una “visione” come procedi per accompagnarla nel suo cammino da idea a oggetto d’arte visibile?

Più che l’idea mi piace la parola pensiero perché pensiero è come la parola scrittura: indicano tutte e due una cosa positiva e creativa. L’idea invece può essere buona o cattiva. Come l’arte, non c’è l’arte negativa, non è arte. Così possiamo, esagerando, dire che non c’è l’immagine negativa perchè altrimenti è solo figura, involucro, contenente… Allora come fa il pensiero a trasformarsi in immagine concreta?… Io mi muovo come una sonnambula nel senso che parto con i colori… so cosa sento ma non so cosa verrà fuori e come succede; finito un pezzo, che è anche molto lungo perché pretende giorni di lavoro e anche notti… alla fine esiste un momento che è pura felicità.

La materia-infinito della tua pittura è un mezzo per “indagare la realtà sensibile”: nella tua ispirazione vale la ragione-ribellione alla guida della ricerca del vero?

La ribellione nasce da una situazione non razionale: fare un quadro è come innamorarsi… nasce da una spinta che lega simultaneamente il rifiuto del negativo all’idealizzazione, a ciò che potrebbe essere, e solo dopo si tramuta in consapevolezza, quindi c’è questo percorso di portare l’invisibile al visibile, come diceva Paul Klee, e di portare tutto questo ad una forma di conoscenza e possibilmente di comunicazione.

Intervista di Livio Garbuglia in Pianeta – Arte Catalogo internazionale d’arte, 14 maggio 2006,
in occasione della mostra PENSIERO INTERNO, Archivio di Stato Sant’Ivo alla Sapienza Roma, aprile-maggio 2006